Ho sempre avvertito la necessità di creare un foglio che fosse come un corpo leggibile e godibile, lontano dal modello della rivista – che di fatto per consistenza assomiglia al libro – e lontano dal giornale quotidiano – che è necessariamente destinato a un breve arco di vita. Così, nel mese di marzo del 1985, con il sostegno di Teresa Miccichè (anima gemella e illuminante) e con la collaborazione dell’amico poeta Francesco Battiato, esce il primo numero de “Il Girasole – mensile di cultura”. Un foglio dalla veste editoriale simile a quella di un periodico quotidiano, che offriva ai lettori articoli tutti rubricati sotto un “girasolino”.
“Il Girasole” raccoglieva poesie e racconti inediti, focalizzava l’attualità attraverso opinioni di osservatori d’eccezione e informava di letteratura, teatro, cinema e arte per mezzo di recensioni, interventi e interviste. Si soffermava, spesso con spirito anticipatore, su temi fondamentali del dibattito culturale e civile contemporaneo. Riporto un brano dall’editoriale del primo numero per chiarire le istanze che sollecitavano questa iniziativa. «Il Girasole nasce come espressione di dubbio: la sua innata ricerca del sole non è perciò un inseguire astratto, ma un confrontarsi faccia a faccia con la luce. […] Frangere il flusso della confusione è come voler tagliare a colpi d’ascia il mare. A troppi fa comodo che tutto resti immutato. […] Agli intellettuali (uomini) veri è riservato uno status di prima linea. Chi si attarda lontano dalle trincee in attesa di momenti propizi impersona il tacito assenso. Siamo proprio stanchi degli inespugnabili “diavoli dietro l’altare”. Che vengano coraggiosamente (cioè civilmente) alla luce…».
Tirato in tremila copie, “Il Girasole” veniva distribuito con un accurato lavoro di diffusione nelle edicole e librerie di Catania, nelle librerie e biblioteche delle principali città italiane e inviato a tutti gli Istituti italiani di cultura all’estero. De “Il Girasole”, che non tardò a diventare un atteso appuntamento per lettori specialisti e non, usciranno in circa due anni tredici numeri, l’ultimo dei quali è datato novembre-dicembre 1987.
Da tale esperienza di “leggerezza” e di animato ventaglio culturale (grazie alla partecipazione di intellettuali e studiosi come Giorgio Caproni, Vincenzo Consolo, Mario Luzi, Cesare Musatti, Rossana Rossanda, Carlo Muscetta, Salvatore Silvano Nigro, Eduardo De Filippo, Attilio Bertolucci, Carlo Bernari, Roberto Roversi, Sebastiano Vassalli, Mario Rigoni Stern, Giorgio Orelli, Emilio Isgrò, Cesare Segre, Antonio Tabucchi, Sebastiano Addamo, Iolanda Insana, Cesare Cases, Bartolo Cattafi, Edoardo Cacciatore, Camilla Cederna, Pietro Barcellona), prende forma il progetto di fondare una casa editrice che spostasse tale impegno verso la durevolezza del libro senza perdere l’originaria prontezza e senza assumere la transitorietà propria della rivista rispetto al volume. È l’agosto del 1986, anno in cui prende avvio l’esperienza de Il Girasole Edizioni.
In occasione del compleanno di Carlo Muscetta – un appuntamento che da qualche tempo, in agosto, riuniva i suoi amici e allievi più cari nella terrazza della sua casa di Trezza –, pensai di pubblicare in volume una sua scelta di poesie e traduzioni. Il Prof, fonte di insegnamenti, con intuito creativo e generosa disponibilità, mi incoraggiò, tanto che ci ritrovammo, di lì a poco, con lui e la signora Marcella nei locali della Cartiera Sicars, pregiata realtà artigianale nei pressi del mio paese, Valverde. Qui, la suggestione del colore era racchiusa in ogni goccia di giallo che sommata ad altre tonalità portò a quella cromia che caratterizza le copertine della prima collana del Girasole Edizioni, intitolata – con riferimento alla gru presente nello stemma araldico di Valverde – le gru d’oro. Nacque allora il bellissimo, introvabile Versi e versioni di Carlo Muscetta, nella cui copertina vive il raffinato logo (che da allora comparirà su ogni volume) ideato da Francesco Contrafatto, già autore della grafica della testata del sopradescritto foglio.
Così, sotto il segno del leone inizia una vicenda di incontri con personalità del mondo della cultura che mi hanno permesso di scrivere a tutt’oggi una poesia lunga quasi cento titoli, in cui i loro nomi rappresentano i petali di un ideale girasole che ho vagheggiato avesse a corolla i valori originali dell’uomo: un andare a bottega, un apprendistato continuo nel quale luce guida è il dubbio come ricerca di accrescimento etico e quindi contributo di civiltà. Non ho mai guardato alla parola come segno fine a se stesso, ma come orma che macula la pelle, divenendo solo allora poesia.
All’insegna di questa esigenza sono nate tutte le altre collane della Casa, le quali, pur conservando una precipua identità, aprono a una versatilità di accoglienza lontana dal concetto di codificare, e inevitabilmente schedare, la creatività della scrittura.
Non sarà difficile, dunque, rintracciare all’interno del catalogo una variegata presenza di generi: dalla raccolta di versi alla ballata, dal testo teatrale alla riflessione filosofica e alla saggistica, dal racconto al raccontino, fino al romanzo e al libro d’arte.
Con copertina nero vellutato si affaccia dioniso, collana inaugurata da un testo di pensiero: Del metodo ipocondriaco del filosofo Manlio Sgalambro.
Più tardi germogliano le spighe con copertina verde, che si aprono con l’emozionante racconto La ballata di Till di Teresa Miccichè.
Comincia a volare anche la collana albatros, grazie all’incomparabile libro fra parola e immagine che è A volte si fissa un punto… di Michelangelo Antonioni.
Dalla fucina di efesto arrivano le scritture della collana omonima con copertina bianca. Il primo titolo è Giorni di Sicilia e di Germania del poeta Joan Perucho.
Tra una collana e l’altra, il fuoco de i lapilli: libriccini a tiratura limitata, sovente legati a una precisa ricorrenza.
Naturalmente, se non ci fossero stati gli autori, questi autori – complici impareggiabili –, non ci sarebbero stati i libri, questi miei libri.
Volumi dalle copertine pastellate e dalla carta asciugata al sole, dalle pagine intonse che aspettano il lettore per celebrare un’iniziazione. Sento che essi reclamano più forte il loro destino di vertice di quel triangolo per me costituito da autore-libro-lettore e di protagonisti di un accadimento – come ha scritto Francesco Pontorno – «che, in tanto panorama di editoria del consenso e auspicabili residui militanti, professa l’editoria d’incontro» (e poi ritrovarli allineati nelle scansie di casa in un abbraccio di dorsi).
Un’intensa storia di libri mi si presenta dispiegata in questa mostra come se i volumi interloquissero tra loro e insieme mi interrogassero: “perché ci hai esposti?”.
Angelo Scandurra