NOVITÀ
Muscetta - Ginzburg
a cura di Vincenzo Frustaci
(carteggio inedito)
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AUTORE: CARLO MUSCETTA - LEONE GINZBURG
GENERE: CARTEGGIO INEDITO
COLLANA: EFESTO
PAGINE: 40
PREZZO: 15,00 € - ESAURITO
ANNO DI PRIMA EDIZIONE: 2012
ISBN: 978-88-97466-07-9
Il ventiquattrenne Leone Ginzburg incontra Carlo Muscetta, di tre anni più giovane, nel 1933. Tra i due, provenienti da ambienti diversissimi (Odessa, poi Berlino, poi Torino da un lato; Avellino dall’altro) scatta una simpatia che si trasforma quasi subito in amicizia. Essa è testimoniata dalle lettere pubblicate qui: sei di Ginzburg, due di Muscetta. I due giovani parlano di conoscenti comuni, di libri, di progetti letterari. S’intravedono divergenze di gusto e di temperamento: Muscetta fa spedire a Ginzburg le poesie di Alfonso Gatto; Ginzburg non nasconde la sua insofferenza per la “poesia di tipo ungarettistico in genere”, che riconduce al proprio “positivismo o non so che altro antipoeticismo”; e tre anni dopo parla di Lavorare stanca, l’opera prima di Pavese, come del “più bel libro di versi uscito in Italia”. Sono frammenti di una geografia letteraria, allora molto più variegata di quella dell’Italia di oggi (a Torino, evocato indirettamente da Ginzburg, c’è anche Carlo Dionisotti che lavora già agli indici del «Giornale storico»). Ma accanto alle diversità che alimentano il dialogo tra i due amici c’è quello che li unisce, e che la censura fascista impediva di dire. “Basterà il nome di Gobetti o di Petrini” scrive Muscetta, quando i due si danno ancora del lei “a promuovere una di quelle lunghe chiacchierate che mi trovano pronto e fresco, e che a lei pure, ho capito, piacciono non meno di me”. In quelle chiacchierate non si parlava solo di letteratura.
I due amici si ritrovarono nel 1943, nella Roma occupata dai nazisti; furono arrestati nella tipografia dove si stampava il giornale clandestino «L’Italia libera», e incarcerati a Regina Coeli, dove Ginzburg morì il 5 febbraio 1944. Nel ricordo apparso su «L’Italia libera» del 27 ottobre di quell’anno Muscetta sottolineò il legame, e la distanza, di Ginzburg rispetto alla tradizione gobettiana:
“Ma al tempo stesso egli sentì non meno profondo il bisogno di reagire a quanto v’era di genialmente improvvisato nella febbre che consunse Piero Gobetti, e negli studi letterari e storici portò la passione per il particolare e il concreto sino a un’esattezza quasi pedantesca. La filologia era un altro aspetto della sua scrupolosa e delicata coscienza morale”.
Sono parole in cui il rimpianto per l’amico scomparso s’intreccia all’intelligenza del critico.
Carlo Ginzburg
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